ULALUME

ULALUME di Edgar Allan Poe, 1847

I cieli erano di color cenere e tristi;
le foglie erano crespe e secche,
le foglia erano appassite e secche;
era una notte nel solitario ottobre
del mio più immemorabile anno;
egli era presso il tenebroso lago di Auber
nel mezzo della brumosa contrada del Weir
egli era là presso l’umido palude di Auber,
nel bosco del Weir, visitato dagli spiriti.

Quivi una volta, lungo un titanico viale
di cipressi  io errava col mio spirito
di cipressi, con Psiche, mio spirito.
Quelli erano giorni quando il mio cuore era vulcanico
come i fiumi di fuoco che scorrono,
come le lave che irrequietamente versano
le loro correnti solforose giù pel Yaanek,
negli ultimi climi del polo
che gemono, mentre scorrono giù pel Monte Yaanek,
nelle regioni del polo boreale.

Il nostro trattenimento era stato serio e sobrio,
ma i nostri pensieri furono paralizzati e secchi,
le nostre memorie furono perfide e sterili,
perché non conoscemmo che era il mese di ottobre
e non notammo la notte di quell’anno
(ah! notte di tutte la notte dell’anno!)
noi non notammo il fosco lago di Auber
(sebbene una volta vi avessimo viaggiato intorno),
non ricordammo l’umido palude d’Auber,
né il bosco del Weir frequentato dagli spiriti.

Ed ora, quando la notte fu inoltrata,
e le stelle mattutine segnalarono il giorno
e le stelle mattutine annunziarono l’alba,
al termine del nostro sentiero nacque
un liquefacente lustro nebuloso,
dal quale una miracolosa luna crescente
si levò col duplice corno,
la luna crescente adamantina d’Astarte
distinta pel suo duplice corno.

Ed io dissi: “Essa è più calda di Diana,
essa corre attraverso un etere di sospiri:
essa gioisce in una regione di sospiri
essa ha visto che le lacrime non sono inaridite
su queste gote, dove il verme  non muore mai,
ed è venuta attraverso le stelle del Leone
per indicarci il sentiero dei cieli
della pace letea dei cieli,
essa s’è levata a dispetto del Leone,
per splendere su noi coi suoi occhi brillanti
essa s’è levata oltre il corvo del Leone,
con l’amore nei suoi luminosi”.

Ma Psiche, levando il suo dito,
disse: ”Tristemente io diffido di questo astro,
del suo pallore io tristemente diffido:
Oh! affrettati, oh! non tardiamo!
oh! fuggiamo! Fuggiamo! perché lo dobbiamo“.
Con terrore essa parlò lasciando cadere
le sue ali finché esse strisciarono nella polvere,
singhiozzando in agonia, lasciando cadere
le sue piume finché strisciarono nella polvere,
finché esse dolorosamente strisciarono nella polvere.

Io replicai: ”Questo è niente altro fuorché un sogno:
restiamo in questa tremolante luce!
bagniamoci in questo cristallino lume!
Il suo sibillino splendore è raggiante
di speranza e di bellezza questa notte.
Vedi! Esso fluttua nel cielo attraverso la notte.
Ah! Noi sicuramente possiamo confidare nel suo splendore
ed essere sicuri che esso ci guiderà rettamente.
Noi possiamo confidare sicuramente nello splendore
che non può guidarci se non rettamente,
poiché esso fluttua su pel ciel nella Notte.

Così io pacificai Psiche e la baciai
e la trassi fuori della sua tristezza,
e vinsi i suoi scrupoli  e la sua tristezze;
e noi camminammo oltre sino al termine della veduta,
ma fummo arrestati dalla porta d’una tomba
dall’uscio lapidario di una tomba:
ed io dissi: ”Che cosa è scritto, dolce sorella, sull’uscio
di questa lapidaria tomba?”
Essa ripose: ”Ululame, Ululame!
esso è il sepolcro della tua perduta Ululame!”

Allora il mio cuore divenne di cenere e tristemente
come le foglie che erano crespe e secche,
come le foglie che erano avvizzite e secche.
Ed io gridai: ”Ei fu sicuramente l’ottobre,
proprio in questa notte dei passati anni
che io discesi con un terribile fardello quaggiù!
In questa notte di tutte le notti dell’anno.
Ah! qual demone mi ha trascinato qui?
Io ben conosco ora questo fosco la di Auber,
questa brumosa mediana regione del Wier;
io ben conosco ora quest’umido palude di Auber,
questo bosco di Wier, abitato dagli spiriti!”




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