IL MIO CORPO
"Perciò io vorrei soltanto vivere.
Pur essendo poeta
Perché la vita si esprime anche solo con se stessa.
Vorrei esprimermi con gli esempi.
Gettare il mio corpo nella lotta!"
Così diceva P.P. Pasolini, uno degli intellettuali degli anni '60 che ho più amato nella mia adolescenza, quando mi sono avvicinato al mondo della cultura. Le sue acute e certe volte spietate considerazioni sulla società mi sono servite e ancora oggi servono, da grimaldello nel mio lavoro, nel mio vivere.
Così ho sempre fatto: gettare il mio corpo nella lotta e rischiare di vivere o di morire. La seconda è la inevitabile conseguenza della prima. Vivere è morire, morire è vivere. Noi nasciamo e moriamo più volte nella vita e questa costante rinascita come quella della Fenice, ci accompagna fino alla fine, fino a quella rinascita che i cristiani chiamano resurrezione.
Ho amato ed ho lottato, mi sono identificato con le cose che ho fatto. Non conosco altri modi per realizzarle quando sei tu direttamente a farle. Mi sono contaminato con la realtà del mondo, questo è inevitabile per fare le cose, perdi un po' della sua purezza. Ma le ho fatte, anche quelle cose che gli altri si tappano il naso per la puzza. Io le ho fatte.
Il mio corpo è l'essenza di ciò che ho fatto, la mia anima ne è lo specchio.
Sul mio corpo ci sono le cicatrici, le ferite delle battaglie che ho condotto e non sempre vinto.
È nella lotta che l'uomo trova sé stesso, trova la sua umanità.
Molte volte proprio la ferocia di alcune manifestazioni sono la disperazione vera e senza filtri. E ciò è in netta contrapposizione alla tendenza dei nostri tempi a omologare, a togliere l'anima alle cose. Io e Anita invece ci mettevano corpo ed anima nelle cose che facevamo, non badando affatto ai pregiudizi o alle convenzioni. È facile parlare dei luoghi comuni di questi contesti, ne è piena la cronaca, difficile è avere una analisi che scenda in profondità con un equilibrio senza naufragare verso le altrettanto facili sirene mascherato da falso pietismo.
Il mio corpo non ha paura del fuoco.
Pubblico oltre alla mia foto, dopo aver portato ad Anita dei fiori, anche alcune del grande fotografo Francesco Faraci che si è dedicato per una vita a cogliere la gente che vive nel quartieri degradati ai margini delle grandi metropoli. Gente colma di ferocia ma anche di tenerezza, di voglia di riscatto e allo stesso tempo di quel sentimento di rassegnazione dovuto ai contesti che avvolgono la loro grigia crudeltà.
Io ed Anita abbiamo cercato di interpretare quei contesti e abbiamo, a nostro modo, tracciato delle vie di uscita, indicato modi di riscatto, dato delle speranze, la nascita della Biblioteca di Condominio era una di queste Abbiamo scovato la poesia dove prima c'era la ferocia, abbiamo letto racconti dove prima c'era la violenza e questo è stato possibile perché ci siamo immersi in profondità con una reale volontà di capire non distante ma empatica. Spesso ignoriamo, o fingiamo di farlo, che in quelle realtà si nasconde il seme di una verità difficile da afferrare, e che proprio per questo vale la pena di cercare. Ogni luogo ha una storia da raccontare, una memoria da tramandare che delle volte la storia, quella ufficiale, tralascia o si volta da un'altra parte.
Nei contesti che abbiamo "frequentato" abbiamo dato voce agli ultimi tra gli ultimi, specchio delle nostre miserie e ricchezze, dei nostri dolori e dei nostri errori. Ma lo abbiamo fatto, ostinati e resistenti.
I combattenti non muoiono mai per davvero, rimarranno nei ricordi dei sopravvissuti, perché hanno scavato e scavato e scavato ancora. Il loro spirito permarrà per sempre in quei contesti. La vera morte per il combattente è l'oblio della sua lotta, di quello che ha svelato.
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