IL CORPO E L'ANIMA

Già alcune religioni pagane dell'antica Grecia come l'orfismo, sostenevano la dualità dell'essere umano: da una parte il corpo che è mortale, dall'altra l'anima che è, invece, immortale. L'orfismo fu più che una religione una vera filosofia su cui impostare la propria vita influenzando notevolmente Platone. Essa prevedeva dei riti iniziatici di liberazione del proprio corpo dai demoni che lo tengono prigioniero. Abbracciare questa filosofia poteva essere fatta quando accadevano degli eventi drammatici della propria vita e si sentiva il bisogno, la consapevolezza di avviare un percorso iniziatico come quello che avrebbe potuto intraprendere un qualsiasi "poeta" per costruire un uomo nuovo, libero, felice, per trasfigurarsi nel viaggio, ossia nel passaggio iniziatico dalla fatica e dall'incubo della vita e dell'amore terreno alla serenità e alla gioia del dominio sulle cose. A questa stessa filosofia apparteneva Nietzsche e tutti coloro che hanno visto e vedono ancora una società con valori decadenti e ormai alla fine del suo ciclo storico di civiltà.

Per avere questa consapevolezza bisogna avere il sapere della storia dell'umanità fin da quella a noi conosciuta, i suoi miti, i suoi riti iniziatici, quella che ancora non veniva considerata Storia ma Leggenda. Tutto ciò attraversa il poeta/uomo che intraprende il percorso di ricostruzione, rivive dall'inizio la storia dell'umanità, gli archetipi ancestrali, andare fino in fondo, e quindi bisogna vivere intensamente, non accontentarsi mai, ricominciare sempre, muoversi, agire, salire, superare gli ostacoli, varcare i ponti anche quelli più impossibili, distruggere le scorie, alleggerire i pesi, eliminare le ombre, combattere i malefici. A quel punto ci si identifica col viandante, col cavaliere errante che deve compiere la sua prova per diventare un Uomo Nuovo. Quando si vuole affrontare per davvero una elaborazione del lutto ci si confronta con la propria pazzia, con quell'elemento di follia che abbiamo tutti dentro di noi ed è perenne, che badiamo bene a tenerlo "contenuto", sotto controllo per quanto è possibile, ma è lì e lo sappiamo che è lì che ci pungola come un dito nella ferita, ma è anche un balsamo in certi momenti. La parola è fondamentale nell'elaborazione di qualsiasi cosa e in questo caso ancora di più, se non si hanno le "parole" per parlare o scrivere, significa che non c'è stata elaborazione, significa che si è bloccati dentro un'emozione indefinita dove corrisponde solo il pianto o un urlo. Solo uscendo dal tempo in cui viviamo ed appartenere a tutti i tempi andati o da venire si è in grado di leggere la propria tragedia come la tragedia dell'umanità e comprendere l'incomprensibile del mistero della vita. La vita con Anita ha posseduto sempre questa concezione duale del proprio essere: una cosa era la materialità del corpo, altro era invece l'immaterialità dell'anima. In questa ultima dimensione c'era l'eternità, la bellezza, l'immensità, la gloria ed anche la sacralità, concetti che era possibile accedervi attraverso, la cultura, delle volte l'astrazione, comunque un certo distacco dal mondo terreno, dalla sua pena di vivere.
Io ed Anita sapevamo bene di possedere quell'elemento di follia e come tutti, a modo nostro, cercavamo di indirizzarlo, di incanalarlo verso la creatività.




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